
L’interesse sugli effetti psicologici della meditazione è aumentato rapidamente negli ultimi decenni. Le pratiche di meditazione basate sullo sviluppo della consapevolezza e del non giudizio, come la mindfulness, sono state in prima linea rispetto a questo interesse, inizialmente in contesti clinici, oggi come pratiche che favoriscono uno stato di benessere e di buon funzionamento anche tra le persone che non hanno patologie o disturbi emotivi.
Esistono oggi diverse prove del fatto che la meditazione basata sulla mindfulness sia fonte di diversi benefici per la persona, come la riduzione dei sintomi della depressione e dell’ansia e il miglioramento del benessere e della salute mentale, delle abilità cognitive e della salute fisica.
La mindfulness promuove dei comportamenti di aiuto?
Recentemente ci si è chiesti se i benefici della pratica della mindfulness riguardino solo la singola persona, in particolare perché i programmi di meditazione tendono a non focalizzarsi sugli elementi morali o etici delle scelte o dei comportamenti individuali, elementi centrali per le tradizioni da cui queste pratiche nascono. Se così fosse i movimenti di mindfulness moderni paradossalmente servirebbero a rinforzare il senso di sé piuttosto che trascenderlo. In contrasto con ciò le tradizioni orientali, varie correnti del buddismo che hanno in parte ispirato la diffusione della mindfulness in occidente, hanno per millenni enfatizzato il collegamento tra la pratica della mindfulness e la promozione del comportamento prosociale. Una questione centrale quindi è se la mindfulness favorisce la messa in atto di comportamenti prosociali, che hanno l’obiettivo di aiutare l’altro, o se i benefici sono limitati al singolo individuo. Ricerche recenti indicano che la mindfulness è collegata a diversi tipi di comportamenti prosociali, ma è un’ipotesi che, certamente va indagata ulteriormente.
La mindfulness è stata definita come una consapevolezza aperta e non giudicante dell’esperienza del momento presente. Con questa definizione si descrive una modalità di entrare in relazione con la propria esperienza, nella quale l’attenzione viene orientata consapevolmente verso le sensazioni, i pensieri e le emozioni che si stanno vivendo momento per momento. Questa concezione della mindfulness, che proviene dalla tradizione buddista, è diversa da altre, dove la mindfulness viene descritta come un processo di ricerca attiva e di generazione di qualcosa di nuovo nell’esperienza di una persona, momento per momento. Quest’ultima visione comprende una elaborazione mentale e di senso da parte della persona, che non fa parte della visione buddista.
I comportamenti prosociali sono considerati fondamentali per l’adattamento, perché promuovono la cooperazione e la coesione tra i gruppi. Il comportamento prosociale viene definito come “un comportamento volontario destinato a beneficio di un altro”. Si tratta di qualcosa di diverso rispetto a una risposta affettiva alla sofferenza dell’altro, come ad esempio la preoccupazione, ed è anche differente rispetto una risposta cognitiva che comporta ad esempio l’assumere la prospettiva dell’altro, cose che possono portare o meno ad azioni che hanno lo scopo di dare un beneficio all’altro. Il comportamento prosociale può essere motivato dall’altruismo, senza nessuna aspettativa di ricompensa o tornaconto personale, ma può anche nascere da motivazioni non altruistiche, come il rispetto di alcune regole o norme sociali, l’aderire a un senso di giustizia o migliorare la propria reputazione.
Come può la mindfulness migliorare il comportamento prosociale?

Rispetto a questo esistono diverse teorie che hanno analizzato i meccanismi attraverso i quali la mindfulness può favorire il comportamento prosociale da più punti di vista.
L’attenzione gioca un ruolo importante, la mindfulness aumenta la capacità di una persona di sostenere e dirigere intenzionalmente la propria attenzione. Nei contesti sociali, migliori capacità attentive possono aumentare la probabilità che una persona osservi i bisogni degli altri e diventa più probabile la sua risposta a questi bisogni. In secondo luogo le pratiche di mindfulness sono associate a una maggior consapevolezza delle sensazioni corporee. Esistono delle evidenze che durante i training di meditazione aumenta l’attività dell’insula, una regione del cervello coinvolta nella consapevolezza interocettiva, cioè la sensibilità nei confronti delle informazioni e degli stimoli interni del corpo, l’insula è anche coinvolta nell’elaborazione delle esperienze emotive altrui. Questo sta a significare che la maggior consapevolezza interocettiva può aumentare la consapevolezza dei bisogni degli altri nel contesto sociale.
Terzo, la mindfulness può migliorare la regolazione degli affetti, nel senso che quando l’esperienza di emozioni negative, come lo stress, viene messa a confronto con la sofferenza di qualcun altro, saranno più probabili delle risposte compassionevoli e flessibili che faciliteranno una risposta interpersonale di calore e gentilezza.
Quarto, la mindfulness può favorire l’espressione del comportamento prosociale grazie alla percezione dei pensieri come eventi mentali piuttosto che come fatti reali, questo fa sì che i giudizi, le supposizioni e gli errori di valutazione non inibiscano all’aiuto dell’altro.
Infine, potrebbe essere che la mindfulness faciliti il comportamento prosociale alterando la visione di sé da una rigida entità che ha bisogno di protezione a qualcuno che invece è interdipendente e flessibile. Con questo cambio di prospettiva si rende più probabile una risposta di aiuto ai bisogni altrui.
Effetti interpersonali della pratica della mindfulness
Insomma sembra che il fatto di avere una disposizione non giudicante nei confronti dell’esperienza altrui renda le persone più disponibili ad aiutare gli altri e rispondere ai loro bisogni. Alcune ricerche hanno mostrato che la meditazione mindfulness migliora il comportamento prosociale aumentando la preoccupazione empatica, cioè la compassione.
- “Does your mindfulness benefit others? A systematic review and meta-analysis of the link between mindfulness and prosocial behaviour.” Donald, J. N., Sahdra, B., K., Van Zanden, B., Duineveld, J., J., Atkins, P., W., B., Marshall, S., L., Ciarrochi, J. Sydney. British Journal of Psychology (2019), 110, 101–125.